Silvia Mezzanotte, voce dei Matia Bazar, con uno spettacolo in 7 lingue ci racconta le sue Regine, uno spettacolo nel quale vengono arrangiati in chiave jazz i più grandi successi delle donne della canzone mondiale, dalla Monroe alla Piaf fino a Mina e Anna Magnani. Un sogno, quello di cantare le donne che hanno segnato la sua vita, diventato realtà, con tanto di abito lungo e guanti di seta. Una splendida voce, la sua, accompagnata dall’Orchestrina jazz di Pino De Fazio, Luca Cantelli e Max Govoni , per la regia di Gibo Borghesani. Nella meravigliosa cornice dei vicoli di Trastevere, la parte più nuda della Mezzanotte arriva a un pubblico rapito, emozionato dalle grandi interpretazioni di quelle canzoni legate insieme da un filo conduttore, quello di essere cantate, anche stasera, da donne che con la loro forza innata hanno saputo rialzarsi, e ricominciare. Note Spillate la ha incontrata a Roma.
Lo spettacolo è totalmente incentrato sulla figura femminile. Come nasce l’ idea?
Nasce da una mia esigenza personale, da un mio sogno che si realizza. Molti conoscono la mia parte più popolare, quella dei Matia Bazar, ma in pochi sanno che c’è un altro aspetto di me sia musicale che personale.
Ha voglia di raccontarcelo?
Non si immagina che io sia stata una bambina di una timidezza patologica, con un forte senso di inadeguatezza nei confronti della vita che mi ha sempre tenuto un passo indietro. Credo mi siano rimasti gli effetti positivi di questa cosa, quelli negativi, quelli che mi impedivano di affrontare ogni cosa con uno spirito costruttivo, sono riuscita a vincerli con la musica.
Fin da bambina ascoltavo le canzoni di queste straordinarie donne, italiane e stranieri, cantanti ed attrici, che cantavo ed emulavo per giocare Che ascoltava da bimba?
Le canzoni di queste straordinarie donne, italiane e stranieri, cantanti e attrici, che cantavo ed emulavo per giocare con la mia voce, ma attraverso questo gioco sono riuscita ad impormi di cantare e facendo ascoltare la mia voce agli altri. Ho deciso quindi, dopo la gavetta, dopo i Matia Bazar, di prendere queste canzoni che mi sono rimaste nel cuore, di conoscere meglio la vita di queste donne attraverso le loro biografie rendendomi conto che l’insicurezza, la paura, l’apparire e l’essere, erano concetti che legavano tutte queste donne. Abbiamo deciso di prendere le loro canzoni più belle, più popolari arrangiandole in chiave jazz, riuscendo insieme alla mia voce pop a dar vita a un album di fotografie di quello che io sono.
Tutte queste donne hanno fatto in modo che lei riuscisse a esprimersi per quello che è veramente. Quale tra queste artiste ha segnato maggiormente la sua vita, professionale e personale?
In qualche modo tutte, per la verità per motivi di arrangiamenti sono state escluse grandi artiste come Annie Lennox, per citarne una. Quando voglio descrivere il concetto dell’apparire e dell’essere racconto un aneddoto di Marilyn Monroe ed Ella Fitzgerald. 1950, America, le leggi razziali, la cantante bianca e quella di colore. La Fitzgerald aveva difficoltà a ottenere ingaggi e Marilyn, che era sua amica, si espose contattando i locali migliori, proponendo di suonare con tutto il suo entourage se fosse stata data a Ella la possibilità di esibirsi. La Fitzgerald diventò la prima cantante di colore a entrare nei locali dei bianchi. Racconto questo perchè Marilyn è conosciuta per la sua estetica, per la sua apparenza, la sua essenza non è venuta fuori attraverso la sua carriera, ma credo sia lampante da questo esempio il suo spessore umano. Questo spettacolo è incentrato sull’essenza, sul filo emotivo che mi lega a queste regine.
Nel 2010 c’è stata una reunion dei Matia Bazar, dopo un periodo di pausa. Quali sono i vostri progetti per il futuro?
Ci sono bei progetti, come l’uscita di un dvd live per la fine di quest’anno, ma anche un nuovo tour ad Aprile. Al momento siamo spesso ospiti in trasmissioni televisive, siamo stati recentemente in Russia e in Canad, dove c’è un mercato molto attivo per i Matia Bazar.
Si parla da tanto della fine della discografia italiana. Cosa ne pensa?
Sicuramente il mondo di internet ha distrutto il mercato discografico, i cd non vengono più acquistati ma scaricati anche in maniera illegale. Non esiste una legge che tuteli questo e non credo sia attuabile. L’artista, oggi, si crea un percorso discografico sfruttando il live non più la vendita degli album.
Il palco del Festival di Sanremo del 2012 vi ha visti protagonisti. Cosa pensa della nuova edizione e più in generale della kermesse?
Ho sempre amato il Festival e non smetterò mai. Di farlo. Penso sia una vetrina fondamentale per gli artisti, sia in Italia che all’estero. Non amo del Festival quello che fortunatamente quest’anno è stato eliminato, ossia l’eliminazione degli artisti tramite il televoto, quest’anno sarà possibile eliminare tramite il televoto una delle due canzoni, salvaguardando così l’artista. Avrei voluto tanto che questa nuova formula fosse stata introdotta l’anno scorso, l’eliminazione dei Matia Bazar è stata dolorosa. Penso che il televoto non sia controllabile, sappiamo tutti che dietro c’è un acquisto dei voti tramite i call center e il pubblico votante non è necessariamente quello che poi ascolta i cd o li acquista, è piuttosto un pubblico dei talent, fatto di giovani, e sicuramente il pubblico dei Matia Bazar non è paragonabile a quello di Emma. Sapevamo dal principio, più o meno, come sarebbero andate le cose ma noi contavamo di andare in finale. Ci ha penalizzato sicuramente l’esibizione con Platinette, che ancora oggi credo abbia un pathos speciale, l’ho amata molto. Non abbiamo avuto, perché c’era stato detto di fare così, la possibilità di raccontare durante le interviste che non sarebbe stato Platinette a salire sul palco con noi, ma Mauro Coruzzi. L’uomo senza parrucca, con i suoi occhi blu sarebbe entrato dentro quell’ esibizione con l’imponenza del suo personaggio, a raccontare una canzone che rivisitata in questa chiave aveva tutta un’ altra valenza. Avrei tanto voluto spiegare queste cose, sono sicura che avrei ottenuto da parte del pubblico distratto di Sanremo un’attenzione maggiore. Forse le cose non sarebbero andate diversamente, chi può dirlo. Rifarei tutto quello che ho fatto, ringrazio ancora Mauro di essere stato con noi in quella serata.
Ha nominato Emma, vincitrice della scorsa edizione del Festival di Sanremo. Lei, ma anche Chiara, Annalisa, e Marco Mengoni, nel cast dell’edizione del 2013, sono “figli” dei talent. Che idea si è fatta rispetto a questo fenomeno dilagante del talent?
I talent cercano fondamentalmente un talento televisivo, che abbia un carattere oltre al talento vocale, tale da sopportare e supportare la trasmissione. Non è una cosa facile, bravi quelli che ci riescono. Io quel carattere lì non ce l’ho. Secondo me ci sono dei grandi talenti usciti dai programmi televisivi, quelli della prossima edizione di Sanremo, per esempio, ma anche Alessandra Amoroso, che secondo me è la più brava di tutti. Meritano molto. Sono contenta che esistano i talent, credo sia l’unica occasione che attualmente si possa dare ai giovani, sui quali poi automaticamente le case discografiche, asservite a questo sistema, investono.
Lei stessa nel 2006 partecipò ad un reality, Music Farm. Come ha vissuto quell’esperienza?
La mia esperienza fu terribile, sicuramente non lo rifarei. Era il periodo successivo all’uscita dai Matia Bazar, quel tipo di visibilità mi serviva. Ero convinta di avere il carattere giusto per partecipare ad un reality, che la mia serenità potesse essere un esempio per chi guardava da casa, ma chi guarda vuole il sangue e io non andavo bene. L’isolamento è una cosa che ho vissuto malissimo, poche settimane prima mio padre aveva subito un intervento al cuore, e faticavo ad avere informazioni sul suo stato di salute. Questa cosa mi uccideva, sapevo di essere ripresa costantemente e non volevo piangere perché sapevo che da casa mi stavano guardando. Vivevo per l’esibizione settimanale, per me era un po’ come Sanremo. La mia esperienza dal punto di vista umano ed emotivo non è stata facile, dal punto di vista della popolarità e della musica, mi è piaciuta molto.
(Recensione e intervista di Irene Zambigli)