Cristiano De André rosicchia posizioni del mondo dei tour. In questa stagione di crisi lui tiene, fa concerti e soprattutto si è ripreso se stesso. Abbiamo cenato con lui qualche settimana fa a Firenze, in occasione della prima data del “Così in cielo come in guerra tour”. Ora è il momento del punto della situazione. Note Spillate lo ha intervistato.
Cristiano De Andrè vive un buon momento?
Certo faccio parecchi concerti ma vorrei ce ne fossero di più.
Sente la crisi?
Un pochino sì. Ma non mi lamento: stanno cancellando date a tutti, c’è chi il tour lo interrompe del tutto. Non è il momento del mugugno.
Altri problemi?
Non ci sono più posti dove suonare: a Milano, ad esempio, è rimasto solo il Blue Note. Ma in generale non ci sono posti in alcun luogo.
Il concerto è lo stesso di Firenze?
Sì. La seconda parte raccoglie le cose più significative di mio padre e poi c’è il mio disco .
Perché definisce “Così in cielo come in terra” un lavoro che ricorda quel che si è smarrito.
Nella vita si lascia e si perde sempre qualcosa.
Cosa è un disco?
Una parentesi di un periodo con tanti racconti. Volevo imprimere una svolta.
Da chi? Da cosa?
In questi ultimi anni mi sono sentito soffocare dalla stupidità imperante: siamo in un nuovo medioevo. Quando avevo 17, 18 anni ero in sincrono totale con i miei pochi amici. Abbiamo perso il magnetismo e la bellezza.
C’è anche Genova tra le date.
Città strana, la mia. Ricordi belli e brutti. Penso a me da solo quando mio padre non c’era. Sentivo i fischi dei treni di notte e avrei voluto saltare su un vagone e raggiungerlo a Milano.Però resta però una città solare.
Perché 12 anni tra “Scaramante” e “Così in cielo come in guerra”?
Non ero sicuro di andare avanti. Sono mancati mio padre, mia madre, i nonni. Ho dovuto aspettare e ricrearmi.
La scintilla quando è scattata?
Quando Fabio Fazio ha dedicato una serata a mio padre. Sono ripartito da Genova con un bouzuki e Mauro Pagani. Ho ritrovato l’affetto delle persone e la voglia di ripartire.