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David Byrne e St Vincent stregano Roma: Note Spillate c'era e ve lo racconta


David Byrne e St Vincent sul palco a Roma

Trent’anni di differenza che diventano invisibili su un palco. David Byrne, fondatore dei Talking Heads e St Vincent, al secolo Annie Clark, polistrumentista, cantante e compositrice statunitense, approdano a Roma, Auditorium Parco della Musica. E’ difficile descrivere l’effetto che fanno appena appaiono al pubblico. Lui elegantissimo in pantaloni bianchi e giacca nera satinata abbottonatissima. Lei retrò quanto basta, biondo platino ed una grazia irreale.

La sala Santa Cecilia non è ancora piena che già sulle le note di “Who”, prima traccia del loro ultimo lavoro “Love is Giant”, il duo appare accompagnato da otto straordinari fiati, tastiere e batteria. E’ subito chiaro, Mr Byrne è una conferma si sa, lei possiede una voce in grado di conquistarti già dalla prima strofa, ma è insieme che i due sorprendono e rapiscono in una perfetta e surreale sincronia. E mentre facciamo queste riflessioni il sold out c’è tutto e si comincia.

E’ stata proprio St Vincent, che sceglie il suo nome d’arte (manco a dirlo) ispirandosi all’ospedale dove morì Dylan Thomas, a definire lei e Byrne una “passione paranoica”, qualcosa a metà strada tra un film di Lynch e uno di Tarantino. Un gioco di luci, di ruoli, di coreografie eseguite in maniere opposte: lui improbabile ballerino robotico, lei amabilmente sinuosa, bambola di un carillon e diva degli anni cinquanta. Dietro di loro, con loro e nelle loro coreografie una schiera di musicisti talentuosi, di cui Mr Byrne tesse le lodi. Dopo due brani del loro disco è la volta di un pezzo nato da una collaborazione con Brian Eno “Strange Overtones”, tanto per non dimenticare “WHO” is Mr Byrne. Un precursore, un musicista senza tempo, un genio elegante e raffinato, un artista che, a metà concerto, riprende una donna in platea: “Signora con l’I pad, parlo a lei. Non ho nulla contro i video, potete girarne quanti volete, ma non dimenticate ogni tanto di guardare lo spettacolo”. E giù applausi, per lui e per quello spettacolo a cui non si riesce a trovare una pecca.

Dopo mezzora abbondante Byrne toglie la giacca, rimanendo in un’uniforme che sembra realizzata su modello di quella di Alex DeLarge. “Questa canzone è dedicata a Paolo Sorrentino” dice, e l’inconfondibile “This must be the place” fa cantare il pubblico. Talking Heads, ovviamente. Ma la rivelazione è un’altra, dopo quasi un’ora di concerto io non riesco a staccare gli occhi di dosso ad Annie che ancheggia guardando il vuoto, ruota e cammina come una bambola, sempre e costantemente imbracciando la sua chitarra.

Byrne sa bene che quel pubblico lì è venuto per lui, e le lascia il timone sdraiandosi sul palco e ballando tra i musicisti. Sembrano tutti una grande famiglia, zio David e i suoi nipoti a cui avrebbe trent’anni di musica da raccontare. Lo ammira Annie, si vede da come le si illumina il viso cantando i pezzi che hanno reso celebri i Talking Heads, tra tutti “Burning Down The House” che cantono tutti i musicisti una frase ciascuno, con il pubblico che ormai di stare seduto non ha più voglia. Li raggiungono un centinaio di persone dalla galleria, scendono in platea per mettersi ai piedi del palco, per sentirsi parte di questa festa che, non a caso, termina con “The party”, canzone di St Vincent e “Road to nowhere” dei Talking Heads. E’ stata una serata memorabile. Chi c’era lo sa bene, chi non c’era spero lo abbia capito con queste parole, e spero abbia preso in considerazione la tappa più vicina da raggiungere per ascoltare questo fantastico duo.

(Recensione di Irene Zambigli)

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Giornalista musicale, lavoro a Sky TG24

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