Un “Identikit” lungo 14 anni. E questo che ha disegnato Piero Pelù col suo nuovo disco, due inediti, “Mille uragani” e “Sto rock”, e poi la rilettura, in versione attuale, di canzoni anche datate ma che non hanno perso energia in quanto i testi sono ancora oggi attualissimi. Note Spillate lo ha incontrato e intervistato.
Piero Pelù cosa rappresenta per lei “Identikit”?
E’ uno sguardo sui miei cambiamenti dal 1999 a oggi: se mi fossi ibernato quell’anno non riconoscerei neanche le strade della mia città. Non è un best né un greatest hits, è una raccolta.
Il criterio di scelta?
Canzoni che per me hanno un significato. Ad esempio “Occhi” parla, ante litteram, degli sbarchi a Lampedusa, racconta l’arrivo degli extraterrestri umani. “Identikit” è il risultato di una ricerca di contenuti e suoni che appartiene a due trilogie, quella dei sopravvissuti che comprende “Ne buoni ne cattivi”, “U.D.S.” e “Soggetti smarriti”, e quella della comunicazione, formata da “In faccia”, “Fenomeni” e, appunto, “Identikit”.
Cosa è oggi la bellezza?
Una arma a doppio taglio.
Sia più chiaro.
Questo è un concetto sul quale mi arrovello da parecchio tempo, mi è balenato da quando un certo tipico di estetica televisiva ha preso il sopravvento non solo negli occhi ma anche nella testa. Quando dicono che un politico è credibile perché ha la faccia credibile ho una irritazione cutanea.
I Litfiba che fanno?
Sono in fermo biologico, in fase di ripopolamento e cattura di nuove idee. Con calma dopo la prossima estate ci metteremo a scrivere pezzi nuovi.
Sarà di nuovo tra i coach di The Voice?
La mia mission impossible è riportare il rock in televisione, esistono una musica e un linguaggio che sono universale. Non esistono solo il pop e l’hip pop, c’è il rock che è un mondo enorme. Forse in Italia è scomodo e mi fa piacere perché abbiamo mantenuto la nostra maledizione. Punzecchiare un politico e un sistema che non funzionano ci piace.
Ma ci sarà nella seconda edizione?
Solo se gli autori capiranno che ci vuole un pizzico in più di coraggio. Anche in un programma televisivo ci vuole coraggio, va preservata la mia bio-diversità che vira al rock.
Guarda la televisione?
Mi piace quella divulgativa. Viaggio poco: ho tre figli e i genitori anziani ma mi resta lo spirito nomade. Tornando a The Voice io non sono un giudice ma un coach. C’è poca educazione musicale ma per crearla bisogna cominciare.
Dura oggi emergere…
O passi per un talent o non hai spazio per parlare, serve una nuova linfa. In Italia non c’è il rispetto per il lavoro in nessuna categoria, figurarsi per gli artisti: noi siamo quelli che vanno sul palco a fare musica.
Ma lei ascolta buona musica?
Eccome. Applichiamo a livello nazionale la filosofia di Puglia Sounds: dove viene messo dell’humus i semi germogliano. Mi viene da pensare che si vuole non germoglino più.
Andrebbe al festival di Sanremo?
Sì ma come ospite. Non volevo fare neanche il Festival Rock del 1982 che vincemmo, mi arrabbiai, mi iscrissero di nascosto e neanche salii sul palco a prendere il premio.
Andrà in tour?
In primavera farò un po’ di club.
La sua sempre una vita senza compromessi.
Ho 52 anni e credo di potermene fregare dei compromessi.