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Finardi torna cantautore con un album Fibrillante!

Quindici anni dopo Millennio e dopo mille, entusiasmanti esperienze, Eugenio Finardi torna a fare il cantautore. Il disco si intitola Fibrillante ed è un disco indignato, un disco di un combattente mai domo.

Eugenio Finardi (foto di Chiara Mirelli)

Eugenio Finardi (foto di Chiara Mirelli)

Note Spillate lo ha incontrato e intervistato per voi. Ecco che cosa ci ha raccontato il popolare cantautore nato a Milano.

Finardi ci racconti il suo ritorno da cantautore.

«Fibrillante è il primo album di inediti in italiano dopo 15 anni, ha avuto una genesi divertente».

Perché aveva smesso?

«Avevo la sensazione che spinta propulsiva degli anni Settanta si fosse esaurita e poi il ruolo del cantautore mi stava stretto, ero prigioniero di una immagine: la veste di Finardi mi costringeva a essere un cantautore che è come essere agli arresti domiciliari: si finisce con cantare sempre le stesse 20, 30 canzoni a essere fortunati».

E lei?

«Volevo uscire dal meccanismo, sono 42 anni che faccio questo mestiere, 15 anni fa mi è venuta voglia di fare altro. A Recanati, a Musicultura, mi hanno coinvolto in un progetto di fado e mi sono reso conto che potevo sopravvivere a un concerto senza fare Finardi: ciò mi ha dato un enorme senso di liberazione».

Che ha fatto?

«Ho sviluppato l’amore per il blues che è sempre rimasta una musica segreta e che in italiano non potevo frequentare perché non suona bene: ed è nato Anima Blues che a oggi considero uno dei miei lavori migliori. Nessuna casa discografica lo ha voluto, ho fatto mia etichetta e sono arrivati 120 concerti. Sono riuscito a coronare il sogno di salire sul palco della Scala: lo considero il momento più alto della mia carriera. Mi sono lasciato libero di andare in qualunque direzione. Ma ora recupero lo spirito Cramps».

Perché Fibrillante?

«Sembra una storia d’amore ma in realtà e il racconto della mia patologia tiroidea. Il testo è nato al volo, come fosse stato scritto nella notte in un foglio di words. Il disco è stato registrato suonando e cantando tutti insieme».

Dove nasce il progetto?

«La canzone madre di tutte quelle del disco è Nuovo umanesimo di due anni fa: combatte questo nuovo medioevo dove pochi hanno il potere e tutti gli altri sono tutti servi della gleba. Lì è nata la collaborazione Max Casacci dei Subsonica che ha poi sposato questo progetto. Siamo diventati soci e partner in questa avventura».

Il brano “La storia di Franco” è inquietante.

«L’origine è stata un discografico che non vedevo da tempo. C’era seduto per terra, fuori da un ristorante, un giovane quarantenne che chiedeva elemosina. Mi ha riconosciuto: lavorava in una multinazionale del disco negli anni Ottanta, mi ha raccontato che lasciato dalla moglie, il divorzio lo aveva portato in difficoltà, aveva iniziato a bere e farsi di cocaina, ha perso la casa, il lavoro, la sua vita è uscita devastata dalla separazione. Ha riconosciuto mia figlia Elettra e lui ha detto che la sua non la vedeva più. L’episodio risale a due ani fa e la canzone è uscita di getto. Tocca il problema dei padri separati, la sua situazione spesso urla vendetta al cielo. C’è una ingiustizia di fondo. Non ho voluto fare canzone polemica, il linguaggio è sconnesso, c’è la bugia del raccontare che è in Africa a fare il volontario perché non osa raccontare alla figlia in che condizioni è ridotto. Sogna di tornare a conquistare la dignità e un ruolo in una società ma non lo avrà più. I violenti verso le donne vanno condannati ma ci sono molti uomini che subiscono il cambiamento con una perdita di senso, ruolo e dignità penosissima da vedere che porta a un non recupero».

Anche questa è lotta.

«Il mio è tutto un disco di lotta e mi rammarica che i ragazzi che dovrebbero creare il cambiamento si indignano poco. Forse sono pochi e pensano più all’estero. E’ vero che le rivoluzioni spesso hanno portato dittature, però mi stupisce che col 10 per cento popolazione che ha il 90 per cento delle risorse non si faccia la rivoluzione. Nel mondo l’uno per cento controlla il 60, 70 per cento. Trovo osceni i compensi milionari: è quella l’oscenità non andare in giro con le tette da fuori».

C’è qualcuno che canta la rivolta?

«Mi piacciono i rapper che mettono nomi e cognomi e dicono le cose come stanno. Ho ricevuto complimenti da Salmo. Mi ha detto che Extraterrestre è stato uno dei primi brani rap. Da solo in auto mi diverto a fare freestyle».

Che pensa dei talent?

«Sono programmi televisivi che fanno vedere la pochezza di quello che c’è. Dimostrano che siamo al collasso, siamo agonici: puoi fare dall’asilo alla laurea senza studiare un giorno la musica».

Frequenta i social network?

«Abbastanza. Mi stupisce sempre che faccio più like quando racconto come preparo le torte che con i post sociologici».

Lei è bravissimo nel cantare l’universo femminile.

«La capacità di vedere le donne la hanno pochi, io, Fossati, Ruggeri per fare qualche nome. La canzone più allegra è Fibrillante e parla della mia malattia. Le canzoni al femminile sono rassicuranti e calde. Lei si illumina dice che se le donne accettano il proprio crescere, non si massacrano con maschere facciali a canotta assumono una luce interiore che cresce col tempo. Se l’uomo accanto non le spegne… quando escono dall’usare la bellezza come arma di seduzione assumono una bellezza straordinaria».

Poi c’è Come Savonarola.

«E’ una delle prime nate e rappresenta il senso di impotenza. Gli spazi nella nostra democrazia si sono ridotti. Nei Sessanta e Settanta c’era un infinto pantone politico anche con piccole differenze, come nei negozi di una volta, oggi la politica è un centro commerciale: o Coop o Esselunga».

Speranze?

«I Cinque Stelle di Beppe Grillo dimostrano che c’è una grande voglia di rovesciare tutto, spero che venga canalizzata. Non deve essere un fatto locale, servono un Gandhi o un Mandela del mondo, spero compaia una figura di questo genere. Potrebbe essere papa Francesco: è la figura più rivoluzionaria della nostra epoca».

notespillate

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Giornalista musicale, lavoro a Sky TG24

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