Vola alta, come sospesa nell’aria, la “foglia” dei Moseek. La band romana è da poco uscita col suo primo album, Leaf, e ora è pronta a farlo conoscere dal vivo con un live che va oltre il concerto, che sviluppa molto anche l’impatto visivo del pubblico.
I Moseek nascono nel 2010 e sono Elisa Pucci, Fabio Brignone e Davide Malvi. Il loro genere? Un mix di rock ed elettronica. Elisa Pucci, che è l’autrice dei testi, oltreché voce e chitarra, ci racconta la band.
Elisa definire Leaf il disco d’esordio è improprio.
«Abbiamo un lungo EP del 2010 che si chiama Tableau e poi nel 2012 ci siamo auto-prodotti Yes weekend. E ora Leaf col singolo Steal show. Diciamo che dopo Yes weekend non pensavamo proprio di tornare in studio anche se pezzi da parte ne avevamo e invece… ci siamo finiti ancora».
Perché Leaf, foglia?
«Il movimento delle foglie racconta il nostro percorso. Ora la foglia si è fermata e noi sappiamo che strada prendere».
Come nascono le canzoni?
«Chitarra e voce. O smanettando un po’ col timpano e le casse. Poi c’è la batteria che può essere a sua volta l’elemento ritmico di partenza».
Sognate l’estero?
«E chi non lo sogna? Noi lo vediamo come un Eden ma siamo consci che abbiamo poca gavetta per una simile avventura».
Ma dove vi piacerebbe andare?
«In Inghilterra. Ma devi arrivarci con un buon curriculum. Il pubblico è diverso così come la cultura musicale. Poi per fare date serve un promoter. In Italia i locali anche poco ma pagano, lì è diverso proprio il sistema».
Però voi nel 2012 ci siete stati.
«Un’esperienza splendida, un tour di dieci giorni con tre date e tanti passaggi radio».
Altro che l’Italia…
«E’ un altro sistema, ma non critichiamo troppo l’Italia».
Come ve la cavate con i social network?
«Oggi i musicisti devono saper far tutto. Noi ci dividiamo i ruoli. Essere presenti sulle web-zine è strategico, quasi più importante che passare in radio. Aggiorniamo tutto in tempo reale, chi ci segue o ci vuole conoscere ci trova in rete».
Che significa Moseek?
«E’ un mistilinguismo. Dovevamo fare dei concerti ma non avevamo un nome e urgeva per le locandine: io ho detto “mo seek”, ora cerco. Ed è diventato il nostro nome».