E’ uscito il 30 ottobre il nuovo progetto musicale dei Babylonia ma questa volta senza Robbie Rox, uno dei protagonisti della band scomparso prematuramente. Il disco è dedicato proprio a lui, come ci racconta Max Giunta.
Multidimensional è il quarto album dei Babylonia. Un disco diverso dagli altri anche perché nasce in seguito a un episodio spiacevole.
E’ un disco dedicato e ispirato a quella che io amo definire la partenza di Robbie che, insieme a me, tanti anni fa ha fondato questo progetto. E’ stata una grande sfida perché, subito dopo l’accaduto, la voglia di fare musica era completamente passata perché mi procurava solo dolore e malinconia, col tempo mi sono riavvicinato alla scrittura e alla produzione e Multidimensional rappresenta una mia piccola grande vittoria sia dal punto di vista umano che artistico, proprio perché penso di essere riuscito nel tentativo di trasformare un evento tragico e molto travolgente in qualcosa di costruttivo, positivo e se vogliamo anche di speranza.
Le canzoni sono state scritte anche insieme a Robbie?
Sono nate tutte dopo Robbie tranne una, A te che resti, l’unica in italiano. Ho affrontato uno dei mostri principali perché mi sono armato di coraggio e ho preso in mano un vecchio provino con la voce di Robbie e l’ho arrangiato mantenendo le sue chitarre e la sua voce originale. E’ l’unico brano non scritto dopo, il resto è ispirato a quanto è accaduto.
Riuscirà a cantare Live “A te che resti”?
Non è ancora accaduto nei Live che abbiamo fatto subito dopo l’uscita dell’album, però mi piacerebbe moltissimo perché è un brano che merita, con un testo molto particolare che sento mio e quindi mi piacerebbe parecchio. Non è ancora accaduto, ma credo che lo inseriremo nei concerti che faremo nel 2016.
Quali sono i prossimi impegni?
A gennaio farò un viaggio molto lontano, in India, e quindi siamo fermi per forza di cose, ma al mio rientro a febbraio abbiamo le prime date che saranno a Milano, Cagliari, Bratislava, poi andiamo in Spagna e torniamo in Italia.
Quali sono le differenze tra il pubblico italiano e quello del resto d’Europa?
Penso di parlare a nome di tutte le band indie perché mi capita spesso di parlare con loro e il problema in Italia, purtroppo, è che c’è poca voglia, poca curiosità e poca educazione nell’ascoltare musica nuova ed emergente e scoprire qualcosa di nuovo rischiando di investire in una serata per ascoltare una band che magari non conosci. Questo all’estero non succede, noi siamo tornati da poco da Mosca dove abbiamo un buon seguito e ancora una volta in aereo ci siamo detti come sia tutto diverso perché all’estero hai un pubblico che non solo ci segue, ma è capace anche di portare amici e conoscenti. C’è la voglia di divertirsi e scoprire nuova musica, mentre in Italia anche gli stessi locali tendono a chiamare le cover e le tribute band abbandonando le band che propongono musica inedita.
Com’è stato ricominciare i Live senza Robbie?
E’ stato difficile non solo dal punto di vista gestionale e strutturale perché le cose che suonava e programmava lui adesso le deve fare qualcun altro, ma soprattutto manca la presenza sul palco perché dopo tanti anni ti abitui ad avere una figura che diventa anche utile nei momenti di difficoltà e hai bisogno di complicità. Trovare quel tipo di sguardo e complicità è molto difficile, però io sono del parere che non tutto quello che non vediamo necessariamente non è presente. Sono convinto che in qualche altra forma lui ci sia, ci guarda e ci sostiene, quindi non lo vediamo con gli occhi, ma lo percepiamo.
All’interno di quest’album ci sono anche tante collaborazioni.
Come al solito le cose più divertenti e importanti nascono per caso, o almeno sembra. Steve Lyon, questo produttore inglese che ha lavorato per i Depeche Mode, Laura Pausini, The Cure e Subsonica, l’ho conosciuto tramite amicizie in comune a Roma, gli ho fatto ascoltare alcune demo che gli sono piaciute molto e da lì è nata questa collaborazione. Inoltre, in questo disco ho voluto introdurre degli elementi nuovi che sono i violini e gli archi reali e quindi ho chiesto a un quartetto d’archi molto bravo di suonare nelle varie canzoni, e poi c’è Marco Barusso, un sound engineer, che sta facendo grandi cose per noi, che già in passato ha fatto, e lo abbiamo richiamato.