Gli Anhima nascono alla fine degli anni ’90 quando il leader Daniele Tarchiani dà vita a un gruppo che in quasi vent’anni di carriera vanta tantissimi live in giro per l’Italia e il mondo. “La cruna dell’ago” è il nuovo album di inediti in cui il gruppo si racconta oggi attraverso dieci brani che li rappresentano in toto. Abbiamo intervistato Daniele.
Iniziamo dall’album, quando e come è nato “La cruna dell’ago”?
“La cruna dell’ago” è un disco un po’ magico.
Perché?
Due anni fa abbiamo pubblicato il best of “18Anhima” in cui abbiamo raccolto diciotto anni della nostra storia musicale, tra cui cinque brani inediti. Da quel disco abbiamo estratto “Orgoglio Punk” e “Baciami" che sono andati bene e sono stati apprezzati molto dalla critica, ma non ci saremmo aspettati qualcosa di più, invece Virgin Radio ha messo in rotazione “Impossibile mutazione”, singolo che ha dato il nome al nostro album del 2000 in cui erano presenti forte contaminazioni elettroniche, il brano è rimasto in programmazione per sei mesi. Un noto sconosciuto Fabrizio Simoncioni, che annovera lavori con Ligabue, Negrita e Gianna Nannini e 57 dischi di platino in tutto il mondo, ci ha sentiti per radio e ci ha contattati. È stato un momento davvero magico! Fabrizio ci ha portati al Garage Studio del suo socio Fabrizio Vanni dando vita a questa bellissima collaborazione.
Quanto tempo ha richiesto la nascita de “La cruna dell’ago”?
La gestazione è stata lunga, io ho scritto davvero tanto. Abbiamo estratto dieci brani che in questo momento ci rappresentano di più.
Quali sono le principali influenze musicali di questo album? E i vostri artisti di riferimento?
Non mi piace tanto parlare di influenze musicali ma senz’altro mi sento vicino a Editors, Placebo e Interpol. Allo stesso tempo andrei volentieri a un concerto dei Foo Fighters e non mi vergogno di dire che alcuni brani dei Coldplay mi fanno commuovere.
Come descriverebbe l’album usando solo tre aggettivi?
Cavolo, che domanda difficile! Direi potente, commovente e onesto.
Perché?
Perché tutti i commenti che mi arrivano da fan e stampa non sono complimenti ma lettere d’amore.
Perché avete scelto “Tutto il mondo è paese” come primo singolo? C’è un brano che sentite più vicino rispetto agli altri?
Non particolarmente, non è neanche il pezzo che commercialmente potrebbe buttare giù il muro. E’ stata una decisione unanime presa tra noi e i produttori per il testo che sprigiona una sorta di immaginazione filmica in chi lo ascolta. Nemmeno io saprei spiegarlo più di tanto, ma è decisamente onirico, visionario e un po’ lisergico. Alcune volte penso a Marlon Brando in “Apocalypse Now”, che paragone eh? La mia canzoncina…
Come siete cambiati rispetto al passato? Qual è stata la vostra evoluzione artistica?
Siamo stati definiti i Pearl Jam italiani e questa cosa ci ha sempre inorgogliti, poi abbiamo vissuto un periodo di sperimentazione accostando l’elettronica al rock e ai violini. Ora vogliamo toglierci di dosso quella definizione grunge nonostante sia di tutto rispetto e che non rinnegheremo mai. In questo momento abbiamo affondato le mani nel periodo che ha coinvolto maggiormente il rock italiano degli anni ’80; tutti i miei pezzi si possono suonare con una chitarra acustica e il sound che abbiamo è stato maturato attraverso un percorso musicale interiore.
C’è un artista con cui le piacerebbe collaborare? Perché?
Che domanda a trabocchetto! Direi Subsonica, Elisa, Afterhours e passerei volentieri una giornata con Ligabue.
Cosa bolle in pentola per gli Anhima? Quali sono i vostri progetti futuri?
Vorremo semplicemente vivere di musica, ma in Italia non è facile far capire che questo lavoro deve esser pagato. Mi auguro di suonare il più possibile, da nord a sud, la dimensione live è il nostro mondo! E poi ovviamente non si molla, siamo gli Anhima, siamo in missione per conto di Dio, come i Blues Brothers (ride, ndr).