Behemoth. At The Gates. Wolves in the Throne Room. Non sono molte le serate in cui le band in cartellone sarebbero tutte degne allo stesso modo di essere headliner. Quello che abbiamo visto è stata una di quelle. Il tridente metallico attualmente in tour per l’Europa ha colpito anche Milano, investendo un Alcatraz stracolmo con un’ondata a base di death e black metal.
di Federico Moia
Attesissime tutte e tre le band. L’affluenza, infatti, è stata altissima fin dall’inizio dello show e stupisce a questo proposito che si sia scelto di allestire il palco B della venue milanese, quello più piccolo, per una capienza totale di circa 1.500 persone, la metà di quanto potrebbe contenere il locale con la disposizione “delle grandi occasioni”. Le persone accorse per la serata, infatti, sono state tantissime fin dall’inizio della prima esibizione e quasi si faceva fatica a farsi largo tra la folla. Alle 19:00, puntualissimi, salgono sul palco gli americani Wolves in the Throne Room. Da vari mesi impegnati nel tour a supporto dell’ultima fatica discografica, Thrice Woven, i nostri ne propongono infatti i primi tre brani, Angrboda, The Old Ones Are With Us e Born From The Serpent’s Eye, per una mezz’oretta di musica appassionante e coinvolgente. I brani lunghi ed elaborati contribuiscono a creare un’atmosfera sulfurea e inquietante, in cui le chitarre riverberate si perdono tra le mazzate precisissime della batteria di Aaron Weaver. Il pubblico è come ipnotizzato dalle lunghe e intricate melodie proposte dal gruppo, che si lanciano in head banging scatenati. Quasi senza salutare e ringraziare, i Wolves in the Throne Room lasciano il palco, tra gli applausi dell’Alcatraz. È il momento degli At The Gates. La seconda band in cartellone è attesissima e molti tra il pubblico – a giudicare dalle maglie e dall’entusiasmo che accompagnano tutto lo show – sembrano venuti solo per loro. La band proveniente da Goteborg, Svezia, è infatti una vera e propria leggenda per gli appassionati, essendo tra i precursori del death metal melodico e in parte anche dell’hardcore. Quando finalmente gli At The Gates salgono sul palco, dalla platea si alza un boato che si trasforma in una vera e propria esplosione quando finalmente fa il suo ingresso il vocalist Tomas Lindberg, “Tompa” per gli amici. La musica proposta è un vero e proprio terremoto sonoro fatto di velocità, riff tanto violenti quanto melodici e growl furioso. La loro importanza per la musica estrema sta proprio nell’abilità di coniugare la brutalità del death classico con melodie e assoli tipicamente “eighties”, che hanno fatto la fortuna di moltissime band. Il risultato non è un caos sonoro in cui risulta impossibile distinguere qualunque nota, ma è un assalto sonoro ben studiato e che incoraggia il sing-along e i cori da stadio. Ne sono pienamente consapevoli i nostri, visto che per tutta la durata dello show, Tompa continua a indirizzare il microfono verso la platea, anche se forse non si aspetta che i fan italiani accompagnino persino gli assoli di chitarra con i classici “oh oh oh”. La partenza è affidata a To Drink From the Night Itself, title track dell’omonimo disco uscito lo scorso anno, che mostra subito la forma smagliante del gruppo e soprattutto della vocals, tanto che sembra di ascoltare la traccia su disco e non un live. Il pubblico, però, letteralmente esplode alla seconda canzone, la celeberrima Slaughter of the Soul, dal disco omonimo del 1995 che ha lanciato gli At The Gates nel firmamento del metal. Il “GO” con cui si apre la canzone viene intonato da tutto il pubblico, con evidente soddisfazione del bassista Jonas Bjorler (che indossa una splendida t-shirt dei Rainbow) e del chitarrista Martin Larsson che quel pezzo hanno contribuito a scriverlo. Fortissima la presenza in scaletta di brani da At War With Reality, penultimo disco del 2014, non amatissimo dai fan. I ben cinque estratti lasciano abbastanza spiazzato il pubblico che ha comunque supporta l’esibizione degli svedesi con passione. L’accoglienza tributata ai brani storici del capolavoro degli anni ’90 è, in ogni caso, assolutamente imparagonabile. A Tompa non serve incoraggiare la platea nemmeno una volta visto che le urla coprono addirittura la sua voce e l’eccitazione in sala è palpabile. Cold, Suicide Nation e la bomba atomica finale Blinded by Fear sono la ciliegina sulla torta di un’esibizione da manuale da parte di una band estremamente professionale e che sa come fare breccia nel cuore degli appassionati solo e soltanto con buona musica.
Arriva finalmente il momento degli headliner, i polacchi Behemoth, una delle realtà più di successo, quanto dibattute del panorama estremo. Partiti negli anni ’90 come band black metal classica, negli anni hanno modificato e fatto evolvere il proprio sound verso lidi più propriamente death. Il loro successo, tuttavia, è solo in parte derivato dalla proposta sonora vera e propria, che rimane comunque valida, anche se di band “come loro” ce ne sono davvero tante. Lo “specchietto per allodole” infatti è l’aura di oscura malvagità che il gruppo vuole emettere a tutti i costi sia con le scenografie “spettrali” che fanno da cornice allo show, sia nella musica e nei testi. Cattiveria e violenza sonora che poi si scontrano con l’onnipresenza social della band, e in particolare del suo mastermind Nergal, e gli atteggiamenti da rockstar che c’entrano poco o niente con il genere suonato e soprattutto con la nicchia – perché parlando di black/death metal si parla comunque di nicchie – al quale la band si rivolge. Non siamo davanti, in altre parole, a un gruppo che smuove decine di migliaia di persone, nonostante l’atteggiamento e il comportamento sul palco faccia pensare voglia ricalcare proprio quegli stereotipi. Nergal, per quanto possa essere reputato carismatico, non sarà mai “potente” dal punto di vista mediatico come un Lemmy, un Ozzy Osbourne o un Marylin Manson. Una proposta musicale valida ma tutto sommato nella norma e un’immagine tanto negativa quanto “vincente” hanno però un grandissimo successo tra i metalhead più giovani, affascinati dal mood e dalle atmosfere malvagie che vuole ricreare la band. Non per niente, la platea è costituita per la maggior parte da giovani e giovanissimi mentre la “vecchia guardia”, praticamente onnipresente a ogni concerto metal, è ben poco rappresentata. Dati significativi che fanno capire che il pubblico dei Behemoth è più attratto dalla cornice di male che non dalla proposta musicale vera e propria. Una malvagità di plastica, da tendone da circo, per imbellettare e rendere “pop” una band che altrimenti non farebbe mai sold out all’Alcatraz. Sì, perché dal punto di vista visivo lo show è stato sicuramente di prim’ordine con fumogeni, fuochi artificiali, megaschermo alle spalle del batterista e giochi di luce studiati nei minimi dettagli. Quasi impossibile rimanere indifferenti di fronte alla scenografia messa in piedi per l’evento. Come già ripetuto, anche la musica in sé, avulsa quindi da tutto questo contesto che va considerato quando si parla di una realtà discutibile come quella dei Behemoth, è valida e brani come Wolves of Siberia, Bartzabel o Ov Fire and the Void sono dei veri e propri macigni metallici, che hanno investito il pubblico milanese che, a quanto pare, ha apprezzato moltissimo la proposta. Nergal, Orion e Seth, dopo essersi tolti le maschere a forma di teschio (in pieno stile Mangiamorte di Harry Potter) ammiccano al pubblico e lo incitano, lanciano plettri e cambiano abito tra un pezzo e l’altro, tornando quindi alla dissonanza iniziale tra pretese di malvagità a tutti i costi e atteggiamenti da “popstar”. Lo spettacolo corre veloce, per circa un’ora e mezza di show, e si conclude con We Are the Next 1000 Years. Dopodiché foto di rito della platea in ovazione da postare su Facebook e Instagram, conclusione perfetta per una band che ha fatto dell’immagine e dell’onnipresenza mediatica i propri cavalli di battaglia.