Per celebrare il ventennale della carriera e dieci album in studio, gli Zen Circus si sono regalati la prima raccolta di successi più due inediti, il primo dei quali, L’amore è una dittatura, presentato in gara a Sanremo 2019.
di Camilla Battista
Brano molto acclamato dalla critica, complesso, non immediato e privo di tradizionale refrain sanremese: testo affilato e curato, perfettamente calato nella realtà odierna, che muove velatamente critiche nei confronti della società, definendo il concetto di amore in termini di empatia con gli altri e non inteso nel senso romantico del termine (pochi sono gli esempi di brani propriamente romantici nella poetica Zen). Brano, questo, che riassume piuttosto coerentemente il lungo percorso artistico del gruppo toscano, che vanta la classica gavetta dei gruppi di musica indipendente: un nutrito gruppo di fan al seguito, tanti chilometri di asfalto macinati, migliaia di concerti, tour premiati e collaborazioni italiane e straniere di tutto rispetto. Gli Zen negli anni si sono evoluti, trovando una loro precisa dimensione nella lingua italiana, usata sapientemente in modo lucido, ironico, sardonico, a volte un po’ crudo, che si sposa con le inconfondibili sonorità rock punk folk rimaste sempre riconoscibili, ricoprendo pertanto il ruolo di unici esponenti italiani di un disturbante rock anni ’80. Vivi si muore, totalmente autoprodotto, tocca tutti i temi cari agli Zen Circus: la politica, i disagi sociali ed esistenziali, storie di provincia, gioie e dolori che fanno la vita vera. La disposizione delle tracce del disco segue una linea temporale inversa, partendo dai nuovi brani, L’amore è una dittatura e La festa, passando per quelli tratti dai lavori della maturità artistica (Canzoni contro la natura, La terza guerra mondiale e Il fuoco in una stanza), fino ai brani degli album che hanno segnato il passaggio alla lingua italiana e quelli con cui hanno raggiunto la notorietà (Andate tutti a fanculo e Nati per subire). Andate tutti a fanculo (a me caro perché rievoca ricordi liceali) è il brano con il quale hanno raggiunto la notorietà nel 2009 ed è sicuramente manifesto del loro modo di intendere la musica: “Al cinismo più bieco e posato/ Tipo quello da cantautorato/ Esser stronzi è dono di pochi/ Farlo apposta è roba da idioti”. Ma i pezzi più belli son sicuramente quelli degli album più recenti: Viva e Postumia (Canzoni contro la natura); una frase finale del primo brano dà titolo alla raccolta, mentre il secondo è uno dei migliori, sembra quasi un ironico testo di denuncia dell’attuale società scritto da De André ma suonato dalle inconfondibili chitarre dei REM. Da La terza guerra mondiale, l’album più sofferto, forse più pop, e lavorato, sono tratte Non voglio ballare, L’anima non conta e Ilenia, tutte potenziali hit radiofoniche che funzionano e che scandagliano a fondo i sottili dispiaceri di un’anima inetta che fa fatica a relazionarsi col mondo e a valutare i suoi comportamenti con occhio obiettivo. Il fuoco in una stanza e Catene, tracce più morbide, con un sound molto più a fuoco e più simile agli Zen stessi e a nessun altro, sono scelte a rappresentanza di questa sorta di concept (Il fuoco in una stanza) sulla dicotomia tra individualità e mondo esterno. Si sottolinea l’assenza dei brani del primo periodo di composizione inglese, fatta eccezione per Mexican Requiem, ultima traccia della raccolta, brano ironico molto rock ‘n’ roll, un mix di più lingue, tra cui un finto spagnolo, che rispecchia l’album dell’esordio del ’99, About thieves, farmers, tramps and policemen. Probabilmente perché le velleità artistiche del leader, Appino, che strizzavano l’occhio al sound, per citarne alcuni, di REM, Pixies, Talking Heads, hanno poi trovato piena espressione, credibilità e nitida identità proprio nella lingua italiana, connubio unico che ha garantito loro un posto di spicco nell’ambito della musica indipendente italiana. Peraltro i Pixies hanno collaborato ai cori della traccia Punk Lullaby, presente nella raccolta. In attesa del concerto evento quasi sold out al Paladozza del 12 aprile a Bologna, consiglio fortemente l’ascolto di questa prima antologia di un gruppo che non si è mai snaturato ma che anzi continua a portare alta la bandiera dell’indie made in Italy.