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Achille Lauro, tra tormento e cambiamento in Lauro

di Vittoria Natale

“Lauro” è un progetto che nasce dalla spontaneità con cui l’autore affronta il processo creativo. Questo approccio può essere compreso o meno, e il prodotto che ne deriva può essere più o meno apprezzato dal pubblico. Le critiche sono una parte inevitabile dell’esposizione di un artista ad un pubblico ampio e vario. Ciò che, però, non va sottovalutato è il coraggio dell’artista nell’accettare i rischi che il cambiamento può portare. Nel mondo della musica, molti, avendo scoperto il successo, temono di perderlo e si riducono a produrre e presentare brani prevedibili. Pochi hanno, invece, il coraggio di accettare la propria libertà, la propria voglia di trasformarsi ed esporla, senza filtri, al giudizio degli altri accettandone le conseguenze: “Dio benedica chi se ne frega”.

“Spontaneamente è come nascono tutte le cose che faccio. Nascono da sensazioni. Fotografo una parte di me”: così Achille Lauro parla dell’origine del suo processo creativo, nei giorni dell’uscita di “Lauro”, il suo ultimo disco. Il desiderio, ma anche la necessità, di catturare e immortalare una sensazione come cristallizzando un’immagine è il primo passo della creazione. “Io scrivo molto, e non solo canzoni: io scrivo riflessioni su di me, sull’amore, sul cinismo, sull’attrazione sessuale…su tutto”, spiega il cantante.

Qual è il motore, la spinta, per la scrittura?
Il mio tormento, una sfumatura caratteriale che sicuramente si attenua nel momento creativo ma solo momentaneamente. Secondo me è la spinta. Guardo al passato con malinconia e guardo anche al futuro come un sognatore, immaginando quello che non esiste. Non esiste presente. Per quanto possa essere la cosa peggiore del mio carattere, è anche il motore di tutto quello che faccio.

Perché hai questo tormento interiore?
“Penso che vada oltre all’essere compreso o incompreso rispetto alla carriera. Penso che sia un qualcosa proprio dell’essere umano. Sicuramente nel mio carattere questo è accentuato. Il mistero della vita e dell’essere umano è una cosa che mi mette alla prova. La ricerca, il tormento, finisce nel momento in cui finisce la canzone, che diventa già vecchia. Io non riascolto nulla di quello che faccio. C’è una continua ricerca, un continuo tormento, che forse fa parte della mia generazione.”

Parli della tua generazione nel nuovo album?
Sì, in Generazione X. Mi sono accorto che la fotografia della mia generazione è molto simile a quella della generazione a cavallo del ’65 e ’80: gente che non crede nella chiesa, nel matrimonio, forse neanche in se stessa. Vede Dio in qualsiasi cosa che non sia la religione ordinaria. È una generazione che accetta le proprie dipendenze, ad esempio la dipendenza dalla tecnologia. Forse il problema più grande delle persone della mia generazione è il non sapere chi vorranno essere, una delle sue piaghe più grandi. Queste persone vivono l’oggi e basta. Non capiscono chi vogliono essere.”

Qual è la motivazione e il pensiero dietro al momento della scrittura?
“La cosa bella del mio percorso degli ultimi anni è che non scrivo per la battaglia sociale di per sè. Scrivo perché ho stati d’animo forti che riflettono un qualcosa di più. Per me le canzoni sono veramente spontanee: sento qualcosa e cerco di fermarlo. Mi sveglio anche la notte per appuntare quello che penso. Quando, poi, finisco di scrivere di getto e analizzo in modo più freddo, mi rendo conto che c’è qualcosa di più e che posso dare diverse chiavi di lettura.”


Le tue canzoni lanciano anche un messaggio contro gli stereotipi di genere.
“Io sono vicino a questa tematica sia attraverso la mia musica che come persona. Sono vicino ai diritti umani e all’aiuto concreto alle persone. Femmina, per esempio, parla di una cosa pericolosamente comune: il maschio che si nasconde dietro la virilità, l’essere uomo ad ogni costo. Femmina arriva a fotografare quella sfumatura caratteriale che è molto comune, soprattutto dove sono cresciuto io, cioè nella periferia estrema di Roma. Lì, per un fatto culturale, le persone non sono istruite al rispetto della figura femminile. Io sono allergico a quel mondo.”

Rimpiangi di essere cresciuto nel contesto della periferia?
“Ho avuto due fortune. La prima è stata quella di capire presto chi volessi diventare: avevo capito subito che mi piaceva scrivere. La seconda è stata quella di crescere in questi posti non solo con miei coetanei, ma anche con persone più grandi di me. Mi sono guardato allo specchio e ho capito che non volevo diventare come loro e ho visto lo spiraglio della musica.”

Cosa rappresenta Roma per te?
“Non rinnego nulla di quello che sono stato e dove sono cresciuto. Roma è una città molto grande, dove spesso la gente vive un senso di abbandono e di malinconia. Roma è una città decadente ma anche poetica. È una città che regala tanto. Io devo ringraziare tutto quello che è stato e tutto quello che ho passato. Devo ringraziare la periferia dove sono cresciuto e la mia città perché senza non sarei chi sono oggi. Rifarei tutto quello che ho fatto.”

Cosa è, per te il cambiamento?
“Io cerco sempre di fare qualcosa di unico e originale, di non seguire mai quello che funziona. Quando facevo musica urban ero un outsider. Quando ho deciso di portare Rolls Royce a Sanremo mi dicevano che non avrebbe mai funzionato. Ho avuto la fortuna, però, di avere attorno persone che mi hanno dato fiducia, a partire dalla mia discografica fino ad Amadeus e Fiorello. Cambiamento significa abbandonare il successo senza avere paura che domani questo possa non esserci più.”

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Giornalista musicale, lavoro a Sky TG24

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