di LUCREZIA VITTORIA NATALE
“Stay hair, stay straight, though we feel ashamed by the curls, waves, and natural things” (“Rimanete capelli, rimanete lisci, ci vergogniamo dei ricci, delle onde e delle cose naturali”) : è così che canta Brittney Denise Parks, meglio nota come Sudan Archives nella sua “Selfish Soul”, canzone contenuta nel nuovo album “Natural Brown Prom Queen” (Stones Throw Records), uscito lo scorso 9 settembre.

La produttrice autodidatta si apre al pubblico mostrando le sue insicurezze e la sua fragilità, ma sfoggiando allo stesso tempo la grinta e l’energia che caratterizza tutto l’album. Infatti, a due anni dal suo album di debutto, “Athena”, la violinista e cantautrice di Cincinnati torna con un lavoro che unisce, in un equilibrio perfetto dai suoni moderni, i ritmi africani di “Selfish Soul” e l’hip-hop di “OMG Britt”, passando per l’R&B di “Home Maker”. Senza dubbio tra le realtà più originali e interessanti del momento, l’artista si esibirà per la sua unica data in Italia il prossimo 4 novembre al Circolo Magnolia di Milano.
Come hai scelto il tuo pseudonimo e che significato ha per te?
In realtà è stata mia madre che ha iniziato a chiamarmi così: diceva che era un bel nome. Invece, la parola “archives” era sul mio libro di musica e ho voluto mettere insieme le due cose.
Quali sono le tue influenze nello scrivere i testi e qual è il motivo dietro la scelta delle parole usate, dato che spesso usi “slang” e “parolacce”?
Io sono di Cincinnati e qui abbiamo un certo modo di dire le cose, un certo slang. Inoltre, un altro motivo sta anche nella mia educazione, come sono cresciuta. E James (MCCall) a volte scrive le canzoni con me e spesso è lui a proporre alcune parole di questo tipo e, per esempio, ha suggerito il verso “Hop off my dick” in “Ciara”.
Quando hai capito che la tua strada era una carriera nella musica? E quanto la tua musica è influenzata dal fatto che tu sia una musicista autodidatta?
Ho sempre pensato che sarei diventata una musicista, sin da bambina. Ero una di quelle ragazzine che cantano in bagno. L’essere un’autodidatta mi permette di avere un approccio unico nel fare musica. Voglio fare le cose in modo non convenzionale per farle suonare diverse. Questo automaticamente fa spiccare la mia musica perché non mi rende abituata a certi suoni che escono dai computer: io stessa posso crearli. Si possono trovare modi divertenti per crearne. Per esempio, in una mia canzone, “Come Me Way” ho letteralmente usato due cucchiai per fare dei suoni: se non fossi un’autodidatta, probabilmente, avrei pensato come un normare produttore e avrei usato dei suoni già fatti.
Qual è la tua relazione col violino? Pensi che il fatto di essere innanzitutto una musicista influenzi la tua musica?
Penso sempre prima al violino: penso a come farlo suonare tanto potente quanto la linea di voce. Cerco di far legare questi due elementi. Se non fossi una musicista non penserei in questo modo. È per questo che sono prima di tutto una violinista.
Perché combini uno strumento classico come il violino con suoni più moderni e diversi generi?
Perché ho sempre pensato che questo potesse caratterizzare la mia musica. Invece che provare con la chitarra ma ho sempre scelto il violino, perché semplicemente non avevo mai visto nessuno fare certe cose con questo. Avevo a disposizione questo strumento e non sapevo dove mi avrebbe portato ma è stato un percorso naturale. Era l’unico strumento che avevo e quindi dovevo far funzionare le cose.
In “Natural Brown Prom Queen” scrivi: “Sometimes I think that if I was light-skinned Then I would get into all the parties Win all the Grammys”.Pensi che l’etnia sia un fattore che influenzato la tua vita e la tua carriera?
Non voglio pensarla in questo modo ma in realtà non lo so perché sono fatta nel modo in cui sono e non so come sarebbero andate le cose altrimenti. È un’insicurezza che ho: sarei trattata in modo diverso se avessi appartenessi ad un’etnia diversa? Forse, ma ho tanto spazio per crescere come artista anche nel modo in cui appaio e nella persona che sono. Quando ho scritto questa canzone ho voluto essere vulnerabile e parlare delle mie insicurezze a voce alta invece che solo tra me e me.
Nell’album troviamo il tema della casa, come per esempio in “Home Maker”. Cosa significa casa per te?
Casa è in qualsiasi posto tu la possa creare: è ovunque tu abbia serenità e pace della mente. “Home Maker” significa essere talmente in pace con se stessi da riuscire e creare la stessa sensazione in coloro che ci circondano. Ho scelto di parlare di questo tema perché ci ho pensato molto durante l’inizio della pandemia, quando avevo nostalgia di casa.