Note Spillate ha incontrato gli Epo in occasione di una loro data romana. Sono una delle band più elettrizzanti dello scenario underground. Ci siamo insinuati nella loro anima attraverso una intervista a Michele De Finis, il chitarrista della band.
Descriva gli Epo in 3 parole.
“Barba, pathos,sette”.
Come vede il cantautorato in Italia oggi? Quali sono, secondo lei, gli artisti più meritevoli di attenzione?
Quando penso al cantautorato in Italia penso a una cosa molto diversa da quella che ci stanno “spacciando come tale”. Quello è un trend e con tutta probabilità come tutti i trend del momento durerà un paio di stagioni. Di contemporaneo apprezzo abbastanza Cristina Donà e Paolo Benvegnù, ma in generale se penso al cantautorato italiano mi vengono spontaneamente a mente i grandi riferimenti, da Tenco a Battisti a De Andrè.
Come nasce “A piedi nudi sui vetri”, primo singolo estratto dal nuovo album “Ogni cosa è al suo posto”?
Ha una storia in comune con molte altre canzoni dell’album. Quando è stata composta aveva un significato più contestuale, poi entrata a far parte del disco ha assunto un valore più generico che poi è il messaggio del disco stesso: non è per forza detto che le cose vadano come vanno perchè “è giusto” che sia così , ma sicuramente c’è un motivo per cui in qualche modo “va bene”, “ogni cosa è al suo posto”, appunto.
Parliamo dell’album, da quale desiderio è nato?
Quello di fare musica. Ci siamo a lungo guardati dentro a riguardo, abbiamo avuto più motivi e più spunti per farlo durante gli anni che ne han preceduto la composizione. Abbiamo capito nella maniera meno banale possibile che per noi tre far musica è un’esigenza insopprimibile, e che lo facciamo perchè ci divertiamo e stiamo bene tra di noi. E’ la “nostra cosa” , e non ci vedremmo senza.
Quanto vi ha cambiato lavorare a questo album rispetto a “Il mattino ha l’oro in bocca” e “Silenzio assenso”?
Ogni disco è una storia a sè. Questo ha avuto forse una genesi più travagliata e stramba. Sicuramente è un disco che ci ha uniti molto.
Il vostro gruppo viene spesso definito Indie. Cosa ne pensate di questa etichetta?
Non ci riconosciamo in nessuna etichetta. E non è perchè siamo troppo fighi e pensiamo che gli EPO siano inetichettabili; crediamo solo che il meccanismo che sta dietro l’etichettare qualcosa sia di per sè stupido e spesso mal gestito. Se penso all’etichetta “grunge” che andava tanto di moda quand’ero più giovane…All’inizio serviva tra addetti di Seattle per definire persone che si vestivano in un certo modo poi è diventato un modo per descrivere chi “parodiava” la musica di Seattle, un dispregiativo, poi un sinonimo di depresso….E alla fine i jeans strappati sono finiti nelle vetrine dei negozi di Armani a prezzi esorbitanti…Basta come esempio per rendere l’idea della stupidità? Indie dovrebbe voler dire “indipendente”. Dalla major, da tutto, nelle scelte e nell’attitudine. E a quanto ne so oggi è un taglio di capelli che non capisco una camicia sgualcita e almeno sei generi di musica diversissima… No, diciamo che non mi trovo molto a mio agio con le etichette, mi prudono dietro al collo.
I testi sono intensi e raffinati. Come nascono?
In maniera piuttosto naturale. Ciro scrive – ama dire – solo di sè e di cose che conosce. Non è uno scrittore “prolifico” ci mette molto ed è molto severo con sè. E noi siamo molto rispettosi di questi criteri.
Sono online molte vostre cover di pezzi famosi che anche dal vivo siete soliti riproporre: da “Anna” di Battisti a “Lontano Lontano” di Tenco, ma anche Bjork e i MGMT. Come mai questa scelta di cantare pezzi degli altri?
Semplicemente immagino che abbiamo un rapporto più disteso di altri con le cover. Le cover le facciamo tutti, abbiamo tutti degli artisti o delle canzoni che ci piacciono e che canticchiamo sotto la doccia o omaggiamo più seriamente. Io credo che quando Ciro – la cui cifra nei live da solo è proprio quella di riproporre sia i brani degli Epo che questi suoi personalissimi riarrangiamenti – elabora una cover è comunque impegnato in una sorta di divertente e divertito processo creativo “altro”. lo trovo comunque un gesto personale, ecco.
I videoclip di “Sporco” e di “In Cattività” vi hanno portato fortuna, accompagnandovi in rotazione su Mtv, All music e Rock Tv, a partecipare a TRL e al programma musicale di Infanscelli Brand:new. Cosa pensate dei programmi musicali di oggi e del loro rapporto con la musica emergente?
Credo sia sotto gli occhi di tutti che la musica sta diventando una cosa che ha poco a che fare con la musica, in Italia. Basti pensare che Mtv manda in onda spesso le serie televisive. Siamo ovviamente piuttosto tristi sull’argomento…
Tra le collaborazioni figurano molti artisti provenienti dalla vostra stessa regione, la Campania.
Sono amici. Collaborazioni nate in modo naturale. Gente con la quale prima di tutto abbiamo bevuto mangiato e sconnesso milioni di volte. Inutile dire le solite banalità: Napoli per l’ Italia è ancora solo posse dub rap. C’è sempre stato e c’è ancora tantissimo altro tantissimo talento e tanta esigenza espressiva. C’è solo da scavare, avere la curiosità di farlo.
A proposito delle collaborazioni dell’ultimo album, com’è stato lavorare con Marina Rei?
Ancora una volta, molto naturale. Ciro è stato il chitarrista del tour di “Musa” lo scorso disco di Marina, che consideriamo prima di tutto un’amica. Per capirci, il rullante che senti in “A piedi nudi sui vetri” è suo, ce lo ha prestato e consigliato lei. Ci divertiva l’idea di pensare alla sua voce nel pezzo più “Rock” del disco. E’ stata una scelta felice secondo noi.
Ultima domanda: Cosa vogliono gli Epo dal futuro?
Avere la possibilità di suonare il più possibile, di stare assieme, di divertirci, emozionare ed emozionarci. Di fare le cose senza le quali non ci sentiremmo così vivi.
(Intervista di Irene Zambigli)