Blues, soul, colonnoe sonore…Roberto Ciotti racconta in questa intervista a Note Spillate la sua anima e quella di “Equlibrio precario”, il suo album numero 15. Un disco che declina le difficoltà di vivere in Italia oggi e che spiega perché oggi le cover, fatte in un certo modo, sono memoria storica.
E’ appena uscito il suo quindicesimo album, “Equilibrio precario”. Ci spiega il perché del titolo?
E’ uno sfogo nato un anno e mezzo fa. Parla della situazione che stiamo vivendo oggi in Italia. E’ il titolo di una delle canzoni di questo album, la più rappresentativa, per questo ha dato il nome al disco.
Quanto è difficile oggi riuscire a fare musica in un contesto storico e sociale così critico?
L’ Italia sta attraversando un momento di profonda difficoltà, credo che dal 2005 in poi ci sia stato un netto calo della cultura in questo paese. Questa crisi la sento molto anche io, ma ho scoperto di avere grandi possibilità all’estero, con grande soddisfazione. Viaggio molto, sono stato in Nord Europa, in Brasile, in Senegal e mi sono trovato molto bene. Spero cambi qualcosa, davvero.
Ci sono artisti giovani che meritano in Italia secondo lei?
Io seguo un certo tipo di musica che nasce nel blues, nel soul. Non seguo la musica leggera italiana, ma posso dirle che credo ci siano molti talenti sprecati in questo paese. Qui c’è un modo di fare musica che non funziona, è per questo che mi rivolgo altrove. Fare dischi è una mia esigenza, devo suonare, per me e per il mio pubblico. Le ripeto, trovo molti più stimoli all’estero.
Ha composto due colonne sonore per Salvatores, quella di “Marrakesh Express” e di “Turné”. Com’è stata questa collaborazione?
E’ stata una cosa molto casuale, mi è stato proposto ed è stato un grande successo. E’ molto interessante il lavoro che si cela dietro la realizzazione di una colonna sonora, soprattutto quando c’è sintonia col regista. Non mi piacerebbe sonorizzare un film però, la trovo una cosa con poca anima.
Nell’ album c’è una sua versione di “Hey Joe” di Jimi Hendrix.
Credo che oggi non ci sia una memoria storica adeguata, soprattutto tra i giovani. Le cover hanno questo intento all’interno del mio disco, di spronare il pubblico ad interessarsi alle origini, senza le quali non avremmo la musica che abbiamo oggi.
Non sarà casuale però la scelta di un brano del chitarrista più bravo di tutti i tempi.
No, non lo è. Diciamo che io da ragazzo volevo giocare a pallone, della musica non mi importava granché. Poi un giorno sentii alla radio su Bandiera Gialla, un brano di Hendrix. Rimasi folgorato, fu lì che decisi che volevo suonare. Lo ascoltai anche dal vivo, un’ emozione incredibile.
Nel suo futuro ci sono altri viaggi?
Certamente, viaggiare è un’ emozione sorprendente. In Brasile, ma soprattutto in Africa, ho vissuto esperienze pazzesche, con un grande riscontro. Ho una gran voglia di fare con e per questa gente, farò un disco con grandi artisti tutti africani. Sono molto indietro a livello culturale, ma ho sempre creduto che la musica di oggi sia una fusione tra Africa ed Europa. Loro la musica ce l’hanno nel sangue, il ritmo, il modo di comunicare, è totalmente diverso. Entrare a contatto con loro è un’ esperienza unica, la ripeterò sicuramente.
(Intervista di Irene Zambigli)