Lo ha voluto fortemente Omar Pedrini questo disco. Che ci vado a fare a Londra? arriva otto anni dopo Pane burro e medicine. In mezzo la splendida antologia La capanna dello zio Rock, pubblicata nel 2010.
E ora si riparte, lo zio Rock ci stupisce con le sue storie di (stra)ordinaria quotidianità e ce le racconta in questa intervista.
Pedrini come sta?
«Questo album ha avuto una storia infinita, otto anni senza un album sono tanti. E finalmente è nato».
Però negli otto anni “vuoti” ha fatto delle cose.
«Sì, ma situazioni episodiche».
Nel 2009 ha collaborato con Pupi Avati.
«Ho firmato la canzone che titola il film, Il figlio più piccolo».
Perché non è proceduta la collaborazione?
«Non lo so, molto semplicemente credo che non ci sia stata la volontà di trasformare quell’esperienza in progetto».
Ci parli di Che ci vado a fare a Londra?.
«E’ il disco di un artigiano. Canto d’amore per l’uomo e la terra. Posso fare l’eretico?».
Certo.
«Lo considero il mio “Creuza de ma”. Non ci sono elementi etnici, ma ci sono terra, mani, vento in faccia… tutto quello che serve per vivere».
Come è articolato?
«Quattordici canzoni stile Beat Generation, alla Gregory Corso. Ognuna fa parte del mio vissuto».
Tutto pescato nel reale?
«Tutto. C’è Emily che racconta il suo amore saffico, c’è l’Emilia che non ride più e badate che l’ho scritta assai prima del terremoto, quando era una isola felice. Piero tra la campagna e il cielo racconta di un contadino positivo. Nonna Quercia Folkband è fatta con i Modena City Ramblers: così quella pianta la chiamavano gli indiani. Mi piace pensare che chi ascolta il disco possa identificarsi almeno in un personaggio».
Il titolo Che ci vado a fare a Londra?.
«Casuale. Inoltre è l’ultima canzone che ho scritto. Anche questa è una bella storia».
Ce la racconta?
«Tempo fa sono stato a Firenze al concerto di Noel Gallagher degli Oasis e tramite il mio management gli ho fatto avere una copia del disco. Sarebbe stato da andare a Londra, ma non c’erano molti soldi da spendere. In compenso non mancavano i primi capelli bianchi e la disillusione. Poi è squillato il telefono e mi è stato chiesto di presentarmi a Londra in 48 ore. Io ero scettico, ma mia moglie Veronica mi ha costretto a prendere il volo. La canzone nasce con la collaborazione di Michael Beasley dei The Folks».
Ora in tour?
«Devo prima sistemare qualche problemino di salute, io sono molto rock non sono capace di andare sul palco a fare un concerto acustico».