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Remo Anzovino, il pianista con la toga

Musicista, compositore e anche avvocato: Remo Anzovino, nato a Pordenone, ha composto numerose colonne sonore e musiche per il cinema muto e la sua discografia conta ben cinque album. Sarà presente al Medimex e noi lo abbiamo intervistato.

Remo Anzovino sulla dida del Vajont

Remo Anzovino sulla diga del Vajont

di Milly Abrusci

Oltre a essere un musicista, è anche un avvocato penalista. Esercita la professione?
Assolutamente sì, proprio in questa settimana ho chiuso un processo molto importante nel quale il mio assistito è stato assolto.
La scelta di continuare gli studi e di diventare avvocato nonostante avesse già iniziato a lavorare come musicista, è dovuta al fatto che non credeva che la musica potesse diventare la sua vita?
Ho iniziato a lavorare come musicista da piccolo e questo mi ha dato la possibilità di pagarmi gli studi. Poi mi sono appassionato al diritto e ho deciso di iscrivermi all’università perché pensavo e continuo a pensare che l’ispirazione alla musica spesso proviene anche da altre discipline ed esperienze.
Come mai proprio il penalista?
Ho scelto la strada del penale perché, probabilmente, è la materia che attiene di più alle vicende umane. Nelle mie musiche mi piace raccontare delle storie attraverso i suoni e l’esperienza di un penalista, che si confronta anche con luoghi come il carcere e il tribunale, mi ha sempre fornito una linfa di storie e di sfumature che, in qualche modo, si sono riversate nella musica.
Palco o tribunale?
La musica è stato, per me, un lavoro sin dai 18 anni e ho avuto la fortuna di incontrare persone che mi hanno insegnato che la musica è una professione. L’essere riuscito, contemporaneamente, anche a diventare avvocato e a praticare la professione, mi ha aiutato tantissimo a poter scegliere, nella musica, cosa mi serviva fare. Mi mancherebbe molto la toga e quindi porto avanti, con sacrifici ma anche tante soddisfazioni, entrambe le discipline.
Come nasce una colonna sonora per un film muto?
La mia prima esperienza come compositore di un film muto è nata per caso. Avevo 24 anni e dovevo sostituire un musicista ammalato per l’accompagnamento dal vivo di un film famoso che è Nanuk l’eschimese, primo documentario della storia del cinema considerato opera d’arte. L’intuizione che ebbi, fu quella di considerarlo semplicemente un film e non un film muto. Ho cercato di portare la mia sensibilità al servizio del film, cercando di non essere didascalico ma maieutico. A me interessava scrivere una musica che fosse autonoma dal film. Guardare un film per tre o quattro volte, senza l’audio, aiuta ad assorbire quelle immagini. Lascia che il ricordo delle immagini tiri fuori delle cose che io voglio dire. Così nasce la musica.
A proposito di Nanuk l’eschimese, fu molto apprezzata la sua musica, così tanto da ricevere dieci minuti di applausi.
In Nanuk l’eschimese lo scenario era polare, a meno 50 gradi. Quel film, in passato, era stato musicato con delle musiche che tendevano a far sentire il freddo. Quando mi trovai questo scenario, pensai che fare una musica fredda su dei ghiacci che vediamo per 90 minuti, non andava bene e quindi scrissi una musica lirica calda, proprio perché il contrasto emotivo tra uno scenario freddo e una musica calda, faceva emergere lo sguardo che altrimenti si sarebbe perso. Fu molto apprezzato e quello fu il seme che portò alla realizzazione del mio terzo disco, Igloo.
Il suo primo disco, Dispari, è uscito nel 2006 e quindi parecchio dopo aver iniziato a suonare. Come mai ha aspettato così tanto tempo?
Credevo di essere un musicista per la pubblicità e per il cinema. L’idea che una persona andasse in un negozio di dischi per comprare la mia musica, non lo prevedevo proprio. Fu merito del mio primo produttore, Ado Scaini, che sentì una mia esibizione al pianoforte senza un film alle spalle e mi convinse a fare il primo disco che occupò la prima posizione della classifica italiana jazz di iTunes.
Nell’ultimo suo lavoro discografico, Vivo, c’è un DVD con il video integrale del Concerto della Memoria.
La composizione che ha portato a quel concerto, che è 9 ottobre 1963 (Suite for Vajont), è una composizione che viene pubblicata nel mio disco Viaggiatore Immobile uscito nel 2012. Scrissi questa musica in maniera del tutto sincera, disinteressata e non su commissione. L’ispirazione mi venne in macchina, durante un viaggio, ricordando questo evento con mio fratello. Ebbi l’idea di suonarlo con la band dell’Edodea String Quintet e col Coro Polifonico di Ruda. Piacque così tanto alla Fondazione Vajont, che racchiude tutti i comuni che furono colpiti dalla tragedia (Longarone, Erto e Casso, Castellavazzo e Vajont, ndr), che decise che dovesse diventare la musica ufficiale del 50esimo anniversario della tragedia del Vajont. Decisero di ricordare quell’evento , dopo 17 anni, con un concerto. Sono molto felice che la casa discografica abbia aggiunto quel DVD al disco Vivo, perché è una testimonianza, per chi non c’è stato, di quella giornata in cui morirono tantissime persone. La sintesi che mi è rimasta di quel concerto irripetibile è che la musica è un linguaggio portatore di vita.
Nel 2008 Maurizio Costanzo l’ha chiamata per il suo show su Canale 5. Che ricordo ha di quella esperienza?
Un ricordo bellissimo perché io avevo appena pubblicato il secondo disco, capitò nelle mani di Maurizio Costanzo al quale piacque molto e mi invitò alla sua trasmissione. E’ un ricordo anche di grande gratitudine nei confronti di Costanzo perché io ero davvero uno sconosciuto e lui mi fece esibire su un palco posto al centro della platea del Teatro Parioli. Un passaggio sicuramente importante della mia carriera perché ha contribuito parecchio anche a far conoscere la mia musica.
In provincia di Bari ha vissuto per anni un suo collega, Benedetto Lupo. Lo conosce?
E’ un grande pianista classico. Non lo conosco di persona ma so chi è ed è bravissimo.

notespillate

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Giornalista musicale, lavoro a Sky TG24

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