Lady Gaga e i suoi Little Monsters invadono Milano con la sola data italiana dell’ArtRAVE: The ARTPOP Ball Tour. Undicimili fan al Forum di Assago, biglietti esauriti da tempo per un concerto-festa che non ha convntno tutti: Lady Gaga parla troppo, cambi abito, anzi costume, troppo lunghi, canzoni accorciate e medley discutibili. Ma ciò non toglie che la sua voce quando parte fa scendere un brivido lungo la schiena. Ho visto, nel tempo, i tre concerti italiani di Lady Gaga, il primo a Torino e poi i due a Milano e quest’ultimo è di certo il meno coinvolgente.
L’appuntamento è annunciato alle ore 20.30 ma si fa desiderare fino alle ore 21.20: arriva anche qualche fischio. Anche perché l’attesa è accompagnata da una deejay che storidcse con una techno esasperata e poi va in onda, aspettando che si apra il sipario, una sonorizzazione che al confronto Skrilex è uno che suona ai raduni scout. Nessun fotografo sotto il palco: Lady Angelina Germanotta non ne ha voluto. Via libera a cellulari e tablet ma nessun professionista, forse che tra gli oltre 27 milioni di dischi venduti possa nascondersi qualche imperfezione.
La festa inizia alle 21.20 quando sul palco si materializza un villagio stile africano che ricorda i villaggi turistici arricchito da due passerelle che la porteranno in mezzo ai suoi Little Monsters: appaioni i ballerini e poi eccola vestita un angelo (l’abito è stato disegnato da Jeff Koons) sorgere dalle viscere del palco. Si parte con ARTPOP cui seguono G.U.Y e Donatella che balla con un caschetto biondo e una andatura basculante alla Carrà. Il pubblico è una onda senza sosta, magari non perfetta ma di certo gioiosa, come non sono perfetti i suoi medley oppure certe canzoni che propone in versione accorciata. Tra un blocco di canzoni e l’altro le pasua sono lunghe, anche 3, 4 minuti e poi lei appare in cistume. nel senso da bagno: reggiseno e perizoma per buona parte del live. Questi vuoti e la sua propensione a parlare hanno fatto sì che non sia mai decollato del tutto il concerto. TraVenus e Manicure trova il tempo per dedicare il conceto ai giovani talenti e sottolinea il momento sventolando la bandiera italiana.
Si va avanti con Just dance e l’energetica Poker Face. Subito appare con un abito da polpo ma con le macchie dei dalmata ed esegue Paparazzi. Sembra di vivere in una favalo, tra colori, bolle di sapone, palme che appaiono e scompaiono e Lady Gaga che sulle note di Do what U want è accocolata su una sedia argentata a forma di mano che si alza da terra per qualche metro. Poi si sposta al piano, ricorda le sue origini umili italiana, ringrazia mamma e papà, il nonno calzolaio e poi mostra le chiappe in You and I, brano che chiude suonando con i denti la chitarra del suo chitarrista ad altezza pubica. Poi invita sul palcoun Little Monster e spende un fucking proud per l’orgoglio gay. Tiene un discorso da politicante, qualcuno sbuffa, credeva di essere a un concerto. Poi, finalmente, si ricorda di essere una popstar e, sempre in perizoma ma con chiodo addosso, canta Judas. Si va verso il finale di un concerto che non ha troppi vuoti, pause e parole non lo fanno mai esplodere. Solo il finale è potente con costanza: Lady Gaga è in latex con Mary Jane Holland, si concede uno intenso strusciamento sessuale con un ballerino di colore su Alejandro emoziona con una acustica Bang Bang e si ciongeda con Bad Romance, Applause, Swane e Gypsy. Tutti a casa felici ma qualcuno anche (s)contento.