Lo definisce “il mio disco più solido, monumentale e compatto”, si intitola Status e segna il ritorno, a oltre tre anni di distanza da King of Rap, di uno dei rapper più amati, ma anche discussi d’Italia. Lo ho incontrato e intervistato.
E’ un disco come quelli di una volta ovvero 18 canzoni. Sulla cover lui ha una cornice d’oro, come fosse una divinità Maya. Non risparmia nessuno Marracash in Status: “Con questo disco ho capito chi voglio essere nella musica e cosa voglio essere. Non voglio testi d’amore a comando, non rinuncio alla metrica e non realizzo dischi a comando”. E infatti il disco è la summa di oltre tre anni di impegno, una stagione che Marracash definisce ” una raccolta di lavori e durante la quale ho aperto una etichetta discografica e lanciato una linea di abbigliamento”. Siamo dunque al momento della maturità che “è fare quello che si vuole: provi generi e sottogeneri e poi ti chiedi chi vuoi essere. Non dimentico perché lo faccio e non voglio diventare quello che odiavo anche se col successo il confine è sempre più labile e il rischio si fa più forte. Ricordiamoci che come il pop anche il rap ha le sue differenze: io faccio musica da dieci anni, scrivo bei testi, e non lo dico io, e dunque perché devo finire in un calderone con un gruppo di artisti con cui non ho nulla di dividere?”.
Lo hanno cercato per fare il giudice a X Factor come altri suoi colleghi (Fabri Fibra e Guè Pequeno) ma ha rifiutato. Non crede nella meritocrazia del web perché “lo usi come un trampolino ma poi finisci in un programma televisivo o nel film di natale. La radio è lo spartiacque tra un prima e un dopo ma metta brutta musica o meglio le solite quaranta canzoni. All’estero c’è molta più considerazione per la musica”. Marracash considera Status quasi un progressive-rap per la lunghezza di alcuni brani e sottolinea il lavoro sui testi serrato: “Racconto la quotidianità. Per fare una canzone rap devi essere innamorato, non puoi fingere di esserlo. Si sente molto la differenza se parli di una cosa che vivi o provi o senti”. E per dna l’hip hop è vita vissuta.