Farmacista tutto l’anno e cantautore quando è ispirato, Pallante ci racconta il suo nuovo album, Ufficialmente pazzi, (uscito a distanza di otto anni dal precedente) e il suo tour speciale in giro per l’Europa.
In questo disco c’è davvero di tutto: ballate, canzone popolare, swing. Come mai la scelta di non fossilizzarsi su un unico genere?
Principalmente perché non esiste un genere musicale. E’ qualcosa che abbiamo inventato noi per avere qualcosa cui fare riferimento, perché si usa così. La musica è una ed io attingo da ciò che mi passa per la testa e mi piace e, dato che quello che mi piace è tantissimo, l’attenzione è rivolta a tanti settori della musica. In questo disco, però, ho dato molta più importanza al testo, mi sono lasciato guidare dalle parole, dal ritmo e dal suono delle parole stesse, la musica è andata di seguito.
Ufficialmente pazzi è composto da 12 canzoni e 24 pagine di libretto. Il tutto prodotto e finanziato da lei, come ha fatto?
Ci ho messo tanto tempo anche per questo, perché ho dovuto accumular fortune. Oggi produrre un disco sembra alla portata di tutti, ma dipende da come si fa. Produrre bene un disco è un lavoro faticoso e anche molto costoso, sempre che non si abbiano molte possibilità tra gli amici che, magari, hanno uno studio di registrazione e quindi lavori gratis. Io faccio un altro lavoro e di questo sono molto contento. La scelta che ho preso prevede che io possa scegliere in autonomia tutto quello che voglio per quanto riguarda la mia musica e quindi anche mettere sette anni anche per fare un solo disco, senza avere padroni. Non per questo mi sento meno musicista di altri, anzi forse il contrario perché mi pago quello che faccio, quello che scelgo e rischio in proprio e non con i soldi degli altri. Sono un indipendente.
Ci ha parlato di un altro lavoro, si riferisce a quello di farmacista. Qual è il lavoro primario? Il cantautore o il farmacista?
Dipende dal periodo, in questo momento sono più cantante, fino a poco fa ero più farmacista. A livello monetario comanda sicuramente il secondo perché è quello che mi ha permesso di fare il disco. Sono un farmacista felice e sto lavorando anche a un ammodernamento del settore farmaceutico che comprende il portare il Vegan in farmacia e tengo anche corsi di aggiornamento su questo. Mi occupo di nutrizione, lavoro e studio tantissimo su questo dal punto di vista sia scientifico che etico.
Per questo la chiamano “cantautore vegan”?
Credo proprio di sì perché, mentre faccio il cantautore, faccio tanto altro che si può riassumere in vegan.
Dato il lavoro di farmacista, quando ha avuto il tempo di scrivere e lavorare al disco?
Mi sono preso un mese di pausa e mi sono rifugiato in un bosco meraviglioso in un luogo che si chiama “Alpi della luna” e lì sono rimasto in completa solitudine, in compagnia della mia chitarra e di qualche libro. Lì ho scritto quasi tutto il disco e poi ho aggiunto e tolto qualcosina. Il tempo l’ho trovato così, prendendomelo.
Affronta tanti temi nei suoi brani, qual è stato il più difficile da raccontare?
Per questioni personali, il rapporto padre/figlio. E’ stato abbastanza complicato raccontarlo, ma anche cantarlo. Infatti, “Fino alle ossa” l’ho cantato e registrato solamente due volte. La versione del disco è la prima delle due. Non credo che la presenterò mai in concerto perché è sicuramente la canzone che mi ha trasmesso emozioni più forti.
In “Tutto quello che resta (del perduto amor)” c’è anche Alex Britti. Com’è nata la vostra collaborazione?
E’ nata casualmente. Alex ed io ci conosciamo da più di venti anni e abbiamo percorso tanta strada insieme da amici, suonando, ascoltando tanta musica e mangiando. Quest’amicizia è rimasta nel tempo e un giorno, mentre stavamo suonando sul divano, è uscita questa canzone e abbiamo deciso di farla insieme. Ci siamo semplicemente divertiti.
Magari nascerà anche un duetto.
Potrebbe e ci farebbe anche molto piacere perché ci divertiamo insieme. Io sono molto più prolisso di lui, Alex è più diretto e, infatti, su questo mi prende parecchio in giro. Pensa che la canzone che suoniamo insieme, inizialmente, durava sette minuti e mezzo. E’ intervenuto Alex tagliando un bel po’ delle 300 strofe che avevo scritto. Lui è più pratico, io più teorico.
A night in Manduria, ultima traccia del disco, è un suo assolo di chitarra di oltre undici minuti. Farmacista, cantautore, produttore, chitarrista: cosa non sappiamo ancora di Paolo Pallante?
So sciare molto bene (ride ndr). Mi trovo bene al mondo, sto bene ovunque tranne nei posti rumorosi e con troppa gente. Sono solitario.
Ha in programma qualche live?
Sì, dall’inizio dell’estate. Ho ancora qualche presentazione del disco in librerie e poi partirà un tour europeo un po’ strano che toccherà la Francia, l’Olanda, il Belgio e la Germania, per poi rientrare in Italia. Saranno delle date un po’ particolari: suonerò in un moulinage di Ardèche (una regione francese, ndr), un posto in cui anticamente si cuciva la tela; in una specie di falegnameria artistica dove c’è un personaggio che realizza quadri con la lana e il fratello che fa mobili artistici di legno; e poi suonerò nelle abitazioni di alcune persone perché sto cercando di costruire comunità intorno all’espressione di un musicista, cercando di abolire completamente il divario tra chi ascolta e chi suona e produce. Per me il concerto diventa questo, espressione senza barriere e senza palco. Il palco si mette per creare una specie di divinità che è l’artista, ma che in realtà non è nulla se non c’è chi lo ascolta. A settembre partirà un altro progetto che però racconterò più in là.