Ricordi. Non molti ma intensi. Ricordo una giornata a Fontanafredda per la presentazione di un disco, ricordo un suo concerto a Rubiera, ricordo parecchie telefonate. Ricordo un poeta che raccanta la vita con parole che tutti conoscono ma che solo lui sa rendere speciali. Ecco che diventano inadeguate le mie parole, quelle di tanti, non dico di tutti, ma di tanti. E allora lo ricordo con la nostra ultima intervista, nel 2013, quando mi ha raccontato il suo ultimo lavoro, Men at Work. Buon viaggio…capostazione del cuore.
Una contraddizione in termini. Ecco cosa è la vita di Gianmaria Testa, l’ex capo stazione di Cuneo che dopo avere conquistato la Francia e l’Olympia ha colonizzato il Canada, il Nord Europa e anche la sua Italia. E’ da poco uscito con un doppio disco dal vivo registrato in Germania e che si intitola “Men at work”. Racconta di migranti e radici, di tagliatori di teste e di sogni fino all’allegria del mercato torinese di Porta Palazzo. E lo stanno ad ascoltare come se raccontasse cose di casa loro. Testa ama i concerti, un po’ meno, ora, il viaggiare: <Frequento abbastanza il nord Europa, le mie tournée sono lunghe. Mi stanca viaggiare molto, i concerti mi piacciono ma girare mi pesa: servirebbe un po’ di staticità: non ricordo le stanze che frequento, occorrerebbe anche una tassa di soggiorno mentale>.
La reazione a Testa è varia da nazione a nazione ma c’è una costante: <Chi viene ai concerti conosce le canzoni, nella Mitteleuropa i dischi li comprano. Ho tenuto un concerto in Quebec, in una citta mineraria che quando sono arrivato mi sono detto chi mi ci ha mandato qui: il teatro poteva ospitare circa ottocento persone, era pieno e la gente canticchiava con me le canzoni>. E nonostante tutti questi apprezzamenti non ha mai ceduto a cantare in altre lingue. Per una questione di <onestà intellettuale. Molti artisti pop lo fanno. Per cantare in un’altra lingua bisogna essere a conoscenza del significante. Le faccio un esempio: in Italia il mare è maschile, simboleggia virilità, in Francia è femminile quindi uterino. Anche per la parola dolore si potrebbe portare avanti un ragionamento simile>.
La sola cover del disco è “Hotel Supramonte” di Fabrizio De André: <Mi piace molto ed è simbolica dell’estrema dignità con la quale ha vissuto il suo essere cantautore. Non è mai sceso a compromessi. La canzone è venuta fuori dopo il rapimento e racconta chi convive con una brutta cosa tirandola fuori. E’ dignità>. Forse la stessa che oggi è affidata ai rapper, considerati gli eredi dei cantautori, specie in via d’estinzione: <Per me l’Hip Hop è troppo veloce. E’ possibile che siano i nuovi cantautori. E’ un segno di rottura ma troppe parole tutte insieme fatico a seguire, dovrei leggere i testi. Sulla fine del cantautorato dico che si preconizza ogni tanto la morte di qualcosa. C’è sempre chi scrive poesie o canzoni ma non c’è più lo spazio degli anni ‘60 e ‘70. Oggi gli Area farebbero fatica a trovare una etichetta, ci sono acceleratori come X Factor e si chiede una resa immediata. Il neoliberismo è la religione dominante e tanti danni provoca l’involuzione televisiva>.
Eppure, nonostante questo scenario, Testa è ottimista: <La capacità d’ascolto c’è ma è castigata dalla preponderanza di grida. Non sono uno da santorismo e nenche da Di Pietro, Santanchè e Borghezio, non mi interessa il litigio da buco della serratura. I Festival di letteratura e poesia, di filosofia e pensiero sono frequentatissimi. Sono stato a Padova con Staino e Altan, che ha disegnato una mia ninna nanna: ma non fa notizia in sé. Ascoltiamo Papa Francesco quando dice di aprire i monasteri a chi non a casa visto che sono vuoti. Ne ho vissuti un po’ di Pontefici da Giovanni XXIII a oggi e questo è davvero speciale. Contrabbandando per nobili parole come precarietà ci hanno tolto quella bella follia che si chiama futuro>.