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King Crimson, la loro festa dei 50 anni passa dall’Italia

È difficile parlare di un concerto come quello che si è tenuto ieri sera all’Arena di Verona. La band in questione? Talmente importante e seminale nella storia della musica che è al di sopra di giudizi o critiche. Le canzoni? Semplicemente l’abc del prog. I musicisti? Professionisti con decenni di esperienza capaci di sperimentare e improvvisare anche davanti a migliaia di persone. La cornice? Una meraviglia architettonica in cui la semplicità essenziale della scenografia lasciava parlare solamente la musica. Loro sono i King Crimson

King Crimson

King Crimson

di Federico Moia

In più, l’occasione è di quelle importantissime. 50 anni. Tante sono le candeline che spengono quest’anno i King Crimson, una delle band fondamentali del rock progressivo e che ha dettato i canoni e le regole per generazioni e generazioni di musicisti e gruppi dopo di loro. Più che l’anniversario dei King Crimson, è l’anniversario della creatura di Robert Fripp, il geniale chitarrista, il metodico compositore e l’eccellente direttore d’orchestra, vero cardine della band e unico punto fisso in questi cinquant’anni, nonostante alcuni dei suoi attuali gregari vantino decenni di militanza nella band. Il motore, il cuore della macchina però è lui, così schivo e riservato. Alle 21 e qualche minuto, dopo che gli altri musicisti hanno già preso posto sul palco, arriva anche Fripp, fa finta di guardarsi intorno, quasi sorpreso dall’affetto che il pubblico gli sta tributando – con una lunghissima standing ovation prima ancora di iniziare – e si colloca sul suo sgabello, dal quale non si muoverà per tutte le due ore e mezza di concerto.

Il pubblico sta ancora impazzendo quando il rumore degli applausi è coperto dal roboante boato delle batterie. Al plurale, già, visto che quest’ultima formazione della band prevede ben tre batteristi in prima fila, davanti cioè agli altri strumentisti. Esattamente l’opposto di tutte le altre band, ma si sa che i King Crimson osano e stravolgono. Accanto allo storico Pat Mastellotto, il tornado Gavin Harrison e Jeremy Stacey, impegnato anche alle tastiere. È con l’energica Hell Hounds of Krim che si apre la prima parte del concerto, sotto ai pesanti e precisi colpi di rullanti, piatti e grancassa su cui i tre improvvisano e si sfidano all’ultima battuta. Pochi minuti di furia per poi lasciare spazio a una delle canzoni più note del combo britannico, Picture of a City, opening track del secondo disco della band, quel In the Wake of Poseidon del 1970. Suoni precisi e puliti rendono la serata una vera e propria emozione. Un godimento continuo per gli amanti di sonorità complesse e ricercate, per le partiture oniriche e le atmosfere soffuse che permeano la maggior parte dei brani dei King Crimson, poeti post moderni e dalle liriche a volte ermeticamente impossibili.
Con una discografia così vasta e in continua evoluzione – ogni versione di ogni singola canzone risulta diversa dalle altre visto che l’improvvisazione è l’elemento cardine del gruppo di Fripp – i nostri scelgono in occasione del cinquantenario alcuni dei brani più celebri della band, oltre a qualche chicca più rara e inusuale. Si passa infatti dalle celeberrime e austere elegie di Epitaph, alla scanzonata e più energica Cat Food, fino alla dolce e melodiosa Islands, così sognante e melliflua. Come detto in precedenza, colpisce subito la grande capacità di improvvisazione dei musicisti. Partendo da melodie e canzoni già molto complesse, ognuno dei sette musicisti suo palco aggiunge a piacimento parti inedite, gioca con gli arrangiamenti o semplicemente improvvisa variazioni del tema. E niente risulta fuori posto, andando a incastrarsi alla perfezione nella cornice più ampia della canzone. Un approccio molto jazz, di cui non per niente è parte fondamentale il polistrumentista Mel Collins, altro protagonista storico del gruppo, attivo per lo più al sassofono e ai fiati. Una manciata di altri canzoni per qualche decina di minuti di arpeggi, suggestioni e improvvisazioni – tra cui Suitable Ground for Blues, Frame by Frame e Level Five – prima della pausa tra i due set in cui è diviso lo show.
Nonostante all’inizio fossero stati annunciati 20 minuti di intervallo, la pausa è stata notevolmente ridotta, forse anche per timor della pioggia paventata, rimasta per fortuna solo una minaccia.
Il secondo set, dopo una breve incursione nel passato più “recente” della band con The ConstruKction of Light, manda letteralmente in visibilio il pubblico accorso. La band scioglie i propri cavalli da battaglia, i pezzi più famosi e amati, i super classici che i giovani – pochi – e i meno giovani – tanti – ascoltano da anni, decenni in molti casi, e che comunque continuano a emozionare, a stupire e a coinvolgere con il loro carico di suggestioni, di magia, di incanto, e in veste live resi ancora più ricchi, sospesi tra la bravura dei musicista e le tante sezioni e parti inedite con cui vengono arricchite, tra un assolo di batteria, uno di contrabbasso di Tony Levin – il musicista che forse ha accompagnato Fripp per più tempo – e qualche riff improvvisato di chitarra. Alla chiusura di Cirkus, si passa al capolavoro che ha consacrato la band nel 1969, quell’In the Court of the Crimson King da cui sono tratte Moonchild, allungata nel finale per permettere un momento di improvvisazione a testa, e la possente e solenne title track, che fa esplodere il pubblico in un applauso lunghissimo ed estasiato. Chiudono il set Indiscipline e la struggente Starless.
Il gran finale del bis è ovviamente per il brano più celebre del gruppo, un pezzo di storia della musica, che con la sua energica aura di rottura, tra virtuosismi prog, venature jazz e primi echi – forse – di riff più heavy, ancora oggi rappresenta un vero e proprio inno di un’epoca. Si tratta ovviamente di 21st Century Schizoid Man, le cui liriche stralunate, disperate sono urlate nel microfono da Jakko Jakszyk, che non fa rimpiangere nemmeno un secondo l’interpretazione originale del compianto Greg Lake. Un brevissimo saluto al pubblico della band che – con una piccola gag – si allontana dal palco lasciando il solo Fripp ancora per qualche secondo a ricevere il caloroso applauso che gli tributa il pubblico. Unico momento in cui il riservato chitarrista guadagna il centro del palco, abbandonando il suo sgabello a bordo dello stage. Poi fa finta di accorgersi che è rimasto solo e, accennando un inchino, se ne va.
Un concerto che sicuramente rimarrà nel cuore di tutti gli appassionati e che corona idealmente la carriera di una delle band più importanti e influenti della storia della musica. Non che ci fosse bisogno di riconoscimenti o tributi particolari, dal momento che da 50 anni i King Crimson preferiscono che sia la musica a parlare per loro, che siano le loro canzoni così complesse e ricche di significati e interpretazioni a interagire con il pubblico. Sono questi inni immortali che tra altri 50 anni continueranno a rappresentare il desiderio di cambiamento di una generazione e che continueranno a incarnare i disagi e le angosce dell’uomo schizzato del ventunesimo secolo.

Dopo Verona i King Crimson saranno a Nichelino, in provincia di Torino, il 10 luglio e poi il 18 a Perugia nell’ambito di Umbria Jazz

notespillate

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Giornalista musicale, lavoro a Sky TG24

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